Danilo Di Luca, prima ciclista italiano a subire una squalifica a vita per doping, è intervenuto ai microfoni di RTL 102.5 questa mattina durante “Non Stop News” – il programma condotto da Fulvio Giuliani, Giusi Legrenzi e Pierluigi Diaco – per presentare la sua biografia “Bestie da vittoria”.
Dalle pagine di questo libro, dove non cerchi assoluzione, emerge un inferno, rispetto a un mondo che bocci senza appello.
Ho scritto questo libro perché ho potuto, essendo stato radiato, e racconto le mie verità e parlo del sistema doping nel ciclismo. Chi non legge il libro può pensare che io l’abbia fatto per vendetta, ma in realtà l’ho fatto per i ciclisti, i miei ex colleghi, perché fanno una vita assurda. Nel sistema ciclismo tutti devono essere controllabili e ricattabili, le squadre nei confronti degli organizzatori, sia nazionali che mondiali, i corridori nei confronti delle squadre e in tutto questo c’è la massima ipocrisia perché ognuno cerca di salvare il proprio orticello. Questo è il sistema che ho detto e che vorrei che cambiasse a favore dei corridori, poi c’è anche il bello perché il ciclismo non è solo questo.
I gotha del ciclismo come ha risposto a queste accuse? È stato censurato in qualche modo o ha libertà di dire quello che vuole?
L’ACCPI, l’Associazione Corridori, ha detto che mi querelerà, io sto ancora aspettando e molto probabilmente arriverà, ma se così sarà davanti a un giudice sono curioso di sapere poi quali sono le loro verità. Le mie verità le ho dette tutte, io facevo parte dell’ACCPI e purtroppo l’ACCPI non mi ha mai difeso, sia per le situazioni contrattuali, che le situazioni che avevo poi a livello di doping o comunque di sistema. Naturalmente i ciclisti non la prendono bene perché non leggono il libro e pensano che io attacchi il loro mondo, ma io lo faccio per proteggere loro, se fossero più accorti prenderebbero la palla al balzo come non abbiamo fatto noi quando correvo nel 2001. Vedi Sanremo o il caso Festina nel 1998 dove potevamo magari prendere la palla al balzo e farci rispettare, oggi purtroppo i ciclisti non sono rispettati e sono l’ultima ruota del carro.
Nella vita, indipendentemente dal ciclismo, non è questione di scelte?
Certo, nessuno mi ha mai obbligato, ma se un giorno decidi di fare il ciclista professionista sei davanti a un bivio: io quando ero piccolo correvo, vincevo, ho sempre vinto, poi ti trovi a un bivio e devi fare una scelta, puoi benissimo fare la scelta di tirarti indietro e scegliere un altro mestiere, ma se scegli di fare quel mestiere ti devi tenere a delle regole, e io mi sono attenuto alle regole che mi imponeva al sistema.
Quando poi andavi sul podio, quando indossavi la maglia rosa, Danilo Di Luca persona, che sapeva di essere dopato, cosa pensava? Riuscivi a goderti fino alla fine quella che comunque era una funzione?
Sì perché comunque quando sei sul podio che hai vinto non pensi al doping, ma pensi che tu hai vinto e sei come tutti gli altri, sei al pari degli altri e quel giorno sei più forte degli altri, come quando perdi perché ti battono e ci sono dei tuoi colleghi che quel giorno gli altri sono stati più forti di te.
Quelli che ascoltano le tue riflessioni magari restano shockati a sentire che con tanta naturalezza stai ammettendo che gran parte dei corridori o tutti sono dopati, qualcuno risponderà.
Dico quello che è scritto sul libro, saranno magari non tutti ma sicuramente gran parte, si può vincere anche senza doping, ma magari meno importanti, anche io l’ho fatto, ma per vincere le grandi gare, soprattutto quelle a tappe dove corri 21 giorni, devi far ricorso al doping. Il punto non è questo, è che comunque, quando decidi, accetti di far parte del sistema, il problema è che il sistema non funziona, perché è contro i corridori che non sono protetti. I corridori devono imparare, se vogliono, ad essere rispettati e quindi a far cambiare le regole del sistema che non funzionano.
Il Giro d’Italia lo hai vinto nel 2007, ed eri dopato, lo senti tuo?
Io ho sempre detto che lo sento mio, perché nel Giro d’Italia che ho vinto come in tutte le altre gare che ho vinto, come quando sono stato trovato positivo che mi hanno squalificato e radiato, io ero nelle regole. Noi tutti abbiamo delle regole, nel mondo ci sono, io su 21 tappe ho fatto 20 controlli, in 20 controlli sono stato trovato negativo, quindi ero nelle regole che imponevano, quindi l’ho vinto.
Anche Armstrong era nelle regole, poi hanno scoperto che non era proprio esattamente nelle regole fino in fondo.
Armstrong poi ha confessato che c’era un sistema diverso, era tutto manipolato da lui e da chi è vicino a lui, è molto diverso, ma è anche vero che ha vinto 7 Tour de France ed è un campione, senza il suo sistema ne avrebbe vinto 3-4.