Sono già passati dodici anni da quel tragico 14 febbraio 2004, il giorno in cui in un residence di Rimini viene trovato il corpo senza vita di Marco Pantani. Uno dei più forti e amati ciclisti di sempre, in Italia e non solo, a soli 34 anni muore in circostanze mai del tutto chiarite, per la tristezza e la rabbia di chi gli aveva voluto bene.
Nato il 13 gennaio del 1970 in una regione, l’Emilia-Romagna, dove il ciclismo è una religione, il Pirata, come venne poi soprannominato dai suoi tifosi per la bandana con cui si copriva il cranio completamente pelato, fin da bambino dimostra di avere il passo dello scalatore. Prima di passare professionista, vince un Giro d’Italia dilettanti.
Nel 1994 nasce il mito di Pantani: a 24 anni arrivano infatti i primi grandi successi, con gli indimenticabili scatti sul Mortirolo, la sua montagna, nella tappa del Giro d’Italia col traguardo all’Aprica e su tutte la altre asperità della corsa rosa (chiusa al secondo posto alle spalle di Berzin) e al Tour de France (podio nella quarta edizione vinta da Miguel Indurain).
Sembra l’inizio di una carriera da predestinato ma purtroppo la fortuna gli volta le spalle: nel 1995 durante la Milano-Torino viene investito da un fuoristrada, che gli procura la frattura di perone e tibia. I medici temono che addirittura possa non tornare in bicicletta ma lui recupera, prima di un altro incidente. Nel 1997 rimane coinvolto in una caduta di gruppo provocata da un gatto. Nuovo lungo stop e rientro a denti stretti.
Già al Tour de France dello stesso anno riesce però a tornare in gruppo e pur senza vincere la maglia gialla si toglie due grandi soddisfazioni, nelle tappe alpine: indimenticabile l’arrivo di Morzine, da record quello all’Alpe d’Huez, un’altra delle sue salite preferite, percorsa in appena 37 minuti e 35 secondi, staccando Virenque e Ullrich.
Il 1998 è finalmente l’anno giusto, l’unico in cui tutto sembra perfetto: si comincia al Giro d’Italia, dove Marco non ha rivali. Zulle alza bandiera bianca perdendo più di mezz’ora a Montecampione, mentre Tonkov, l’ultimo ad arrendersi, non riesce a resistere all’impressionante serie di scatti dell’avversario, che limiterà poi i danni a cronometro.
Due mesi dopo, al Tour, il campione in carica Ullrich parte bene e accumula un vantaggio di cinque minuti sul Pirata che però nella quindicesima tappa scatta senza voltarsi più indietro, nella bufera, sul Galibier, e taglia il traguardo a Les Deux Alpes con oltre nove minuti di vantaggio sul tedesco, a braccia alzate per una foto che resterà la più bella della sua carriera.
A Parigi, sugli Champs-Élysées, completa la sua impresa, vestendo la maglia gialla davanti all’Arco di Trionfo, per una vittoria che nella classifica generale della Grande Boucle mancava ad un italiano dai tempi di Felice Gimondi. E’ tutt’ora l’ultimo ciclista ad aver centrato l’accoppiata Giro-Tour nello stesso anno.
Il 5 giugno del 2000, mentre è lanciato verso la conquista del secondo Giro d’Italia consecutivo (memorabile pochi giorni prima la rimonta dopo il salto della catena verso il santuario di Oropa), arriva un’altra mazzata, dopo la quale purtroppo la sua vita non sarà più la stessa: a Madonna di Campiglio viene fermato per un tasso di ematocrito di poco superiore alla norma.
Pantani lo dice subito apertamente: “Sono caduto tante volte, ma stavolta sarà difficile rialzarmi”. Ce la farà, ma come detto non sarà più il vero Pirata capace di smuovere folle oceaniche e scattare a ripetizione: nel 2000 accetta addirittura il ruolo di gregario e aiuta il compagno Stefano Garzelli a conquistare la maglia rosa.
Al Tour dello stesso anno, Marco fatica sui Pirenei, giocandosi le sue possibilità di maglia gialla, ma sul Mont Ventoux centra la sua ultima grande impresa: Lance Armstrong, il cowboy a cui nel 2012 hanno poi tolto i sette trionfi al Tour, è l’unico a resistere agli scatti del romagnolo e sul traguardo gli lascia sportivamente la vittoria di tappa.
Sarà l’ultimo acuto di Pantani, che quando scende dalla bicicletta si scopre debole e indifeso: gli amici, non quelli veri, piano piano lo abbandonano e lui cade in depressione. I tentativi di uscirne si rivelano infruttuosi e le ultime sporadiche apparizioni in sella non sono memorabili.
Pantani nelle ultime settimane di vita si chiude in se stesso, passa sempre più tempo da solo, fino a quando il 14 febbraio muore in una stanza del residence “Le Rose” di Rimini. Per l’autopsia l’edema polmonare fatale viene causato da un’overdose di cocaina, ma mamma Tonina ancora oggi chiede giustizia: c’è chi crede che non si sia trattato di un suicidio.
Il giorno dopo la sua scomparsa, il mondo dello sport si stringe attorno alla famiglia di Pantani. Anche nel calcio viene osservato un minuto di silenzio su tutti i campi, a cominciare da quello di Lecce, dove è di scena il Milan, la sua squadra del cuore. Tanti gli omaggi resi dal mondo del ciclismo, con monumenti eretti sul Mortirolo e sul Galibier, mentre ogni anno al Giro e al Tour tappe e tornanti vengono dedicati alla sua memoria.
Nella sua Cesenatico viene invece aperto un museo che ripercorre la carriera dell’amatissimo eroe locale, mentre il cimitero è diventato meta di veri e propri pellegrinaggi, di ciclisti amatori e professionisti che arrivano da ogni parte d’Europa per rendere omaggio ad un indimenticato e indimenticabile campione.