Fabio Aru ha rilasciato un’intervista diversa dal solito. Dalle pagine di Famiglia Cristiana ha parlato di ciclismo ma anche e soprattutto di religione.
“La vita di uno sportivo è fatta di vittorie e sconfitte, ma la fede è tanto importante nelle prime quanto nelle seconde. Non ci si appella a Dio solo nel momento della difficoltà, ma occorre ricordarsi di quello che ci dona anche quando le cose vanno bene, anche quando pensiamo che il successo sia normale”.
Sull’incontro con Papa Francesco. “Non è come vederlo in tv. Averlo davanti a me ha rappresentato qualcosa di eccezionale che ricorderò per sempre. Essendo cresciuto in una famiglia cattolica, per me questo incontro è stato la migliore esperienza che potessi fare. L’anno precedente, in una tappa della Vuelta, ero caduto a 70 chilometri all’ora. Siccome tutto andò bene, non potevo che ringraziare Dio così, anche quando il professionismo ci allontana dalla possibilità di praticare con costanza”.
“Per un atleta sardo è difficile emergere anche per il legame, bellissimo e nostalgico, con la Sardegna stessa. Lasciare quell’isola non è come lasciare un qualsiasi altro luogo. Ho pianto tante volte da quando sono andato via ma cerco sempre di ricordarle l’identità delle mie origini: sul casco, per esempio, non posso non tenere i Quattro Mori, il simbolo della Sardegna. Nella carriera, oltre alla fede, sono sempre state la grinta e la determinazione sarde a darmi la forza di andare avanti, anche nei momenti più bui”.
“Per me il rapporto con Dio non conosce limiti di tempo né di spazio. Quando vivevo a Bergamo talvolta mi arrampicavo in bici fino al santuario della Madonna della Cornabusa, un luogo incastonato sul versante di un monte nella Valle Imagna. Sono tre chilometri di scalata molto ripida, ma per me arrivare lì ha rappresentato sempre un ottimo connubio tra dimensione spirituale e passione ciclistica, anche se spesso potevo trattenermi in quella grotta naturale solo per pochi minuti. Non posso andare a Messa tutte le domeniche per via delle manifestazioni sportive che si svolgono sempre nel weekend, ma quando devo montare in sella conservo una mia serie di riti, dal segno della croce alle preghiere, affinché non mi accada nulla in strada. Prego, per dire, anche alla vigilia di una gara in una camera di albergo lontana da casa migliaia di chilometri”, ha concluso Aru.