Le parole di Yaroslav Popovich
Yaroslav Popovich, ex ciclista e ora direttore sportivo della Trek-Segafredo, ha spiegato a Bike2u che cosa sta facendo per la sua Ucraina: “Sto aiutando le persone il più possibile. Da quando sono tornato dall’UAE Tour, mi sono messo a disposizione del mio Paese. Avevo pensato di tornare in Ucraina e prendere le armi. Solo che ho chiesto ai miei amici sul posto e mi hanno detto di avere già tanti militari professionisti. L’unica cosa che avrei potuto fare sarebbe stata montare delle protezioni, ma questo non mi piaceva. Allora ho iniziato a frequentare questi centri di raccolta dove si mandano tutte le cose indispensabili da mandare in Ucraina”.
C’è tristezza ma anche rabbia nelle sue parole: “I primi giorni le persone non sapevano cosa portare. Portavano tantissimi vestiti e scarpe, abbastanza inutili: quel che serve davvero sono i medicinali. La gente per l’inverno è preparata, tutti hanno i vestiti. E’ vero che tanta gente è scappata di casa quasi con niente, comunque i vestiti ce li hanno, non muoiono di freddo. Adesso quelli che hanno più bisogno sono i militari. Quindi servono medicinali, sacchi a pelo, stufette. Adesso c’è bisogno di cibo, mia sorella mi ha mandato una foto di un supermercato vuoto. Il problema è che nella zona dove viviamo noi in Ucraina sono arrivati tanti profughi ucraini ricchi e con i macchinoni, gente che ha rifiutato di uscire dall’Ucraina e che sta facendo vita normale, o quasi. La gente del posto si sta arrabbiando e gli è stato proibito di acquistare alcolici. Sono stati messi dei cartelli con scritto ‘vi diamo ospitalità, vi aiutiamo, vi diamo da dormire, ma se cominciate a bere vi mandiamo al fronte’. Queste persone ricche sono scappate da dove si svolge il conflitto, si sono recati in zone sciistiche e fanno la bella vita. Solo che i nostri ragazzi vanno nella loro terra con le armi a morire per loro. Per questo c’è lotta anche con queste persone. Poi ci sono anche persone che scappano come i bambini. La settimana scorsa sono stato al confine ucraino a portare le scorte. In una stazione polacca è arrivato un treno pieno di bambini, tutti senza genitori: mi sono messo a piangere. Poi al confine sono rimasto 8 ore in fila per scaricare i medicinali e ho visto ogni 5 minuti passare bus pieni di bambini che andavano nei campi profughi. Poi ho visto tante mamme con uno, due o tre bambini che non sapevano dove andare. E’ molto difficile da raccontare”.