La moglie di Vincenzo Nibali, Rachele, in un’intervista alla Gazzetta della Sport racconta la sofferenza del marito dopo la caduta al Tour de France e l’infortunio. “Il primo mese e mezzo è stato durissimo. Siamo rimasti chiusi dentro casa, uscivo solo io a fare la spesa. Quando siamo andati dal neurochirurgo, si ragionava di 15 giorni di recupero. Il dottore ci ha detto ‘il recupero normale è di tre mesi’. Non eravamo preparati: per cinque minuti non ha parlato nessuno di noi due. Il dottore se n’è accorto e allora ha precisato “una persona normale, non uno sportivo come lei”. E da quel momento Vincenzo è stato in lotta con il tempo. Ha rincorso il tempo ogni momento. Ogni ora una cosa diversa, sperimentava un esercizio nuovo”.
Poi la rinascita: “Il primo sorriso quando è risalito sul cicloergometro: ha sentito il rumore dei pedali, ha visto le ruote che giravano, ha ripreso confidenza. Cercava il limite fisico perché non aveva risposte. E poi quando ha potuto risalire in bici su strada, dopo una settimana e mezza, è tornato lui. La bici è di famiglia. Quando io l’ho conosciuto, non sapevo nemmeno che cosa fosse la bici. Lui non la mollerà mai, neppure quando smetterà di correre. E’ l’unico sfogo fisico e mentale che ha”.
Lo Squalo è cambiato: “Questi mesi l’hanno reso più riflessivo e meno impetuoso, meno impulsivo. Ha aggredito il problema immediatamente, “ma poi devi riflettere e mantenerti in pace con te stesso”, dicevo. Dopo il Lombardia, con tutti quegli applausi, gli ho detto “ora sei ritornato te stesso”. Riconoscevo che non era lui dal silenzio.Il suo silenzio parla. Se è sereno, Vincenzo scherza e gioca. Invece faceva colazione, e pensava, con qualche sbuffetto. E la sera non dormiva facilmente. Si svegliava e pensava anche di notte. Non lo assecondo mai, altrimenti farei il suo male. Era un leone in gabbia”.