Deborah Roversi, ex moglie di Andrea Pirlo, ha scritto una lettera pubblicata da Dagospia per fare chiarezza sul suo divorzio dal centrocampista bresciano.
“Sulla mia vicenda personale, diventata come era inevitabile anche una vicenda mediatica, ho ritenuto a ragione di mantenere la massima riservatezza. I giornali e i mass media ne hanno parlato a lungo, come peraltro è comprensibile quando la fine di un matrimonio riguarda un campione.
Ho accettato mio malgrado di non avere un ruolo e di non prendere posizione diretta su quanto ha interessato e travolto la mia vita. La propria sofferenza è un’esperienza personale, soprattutto quando rischia di essere fraintesa se non addirittura strumentalizzata.
In occasione della recente sentenza della Corte di Cassazione che riguarda gli assegni in favore delle ex mogli, sono stata personalmente coinvolta come se fossi una donna che a dispetto del marito si è arricchita. Dopo aver riflettuto a lungo, ho capito che avrei dovuto prendere posizione direttamente ed esprimere la mia vera situazione di donna e di moglie, evitando che nel mio silenzio venissero coltivati ingiusti malintesi, volontari o meno che siano.
Le mie riflessioni non riguardano solo la mia vita ma anche quella di molte donne di ogni ceto sociale, che hanno donato la propria esistenza per la realizzazione dei sogni e dei progetti dell’uomo amato.
L’assegno che mi è stato riconosciuto non è un assegno divorzile ma è quello che la legge stabilisce nella separazione dei coniugi. L’importo non è quello indicato dai mass media (53 mila euro, ndr). Dedotto l’assegno di mantenimento dei figli e le imposte che verso regolarmente, l’importo è di gran lunga inferiore (di quasi due terzi).
Il mio matrimonio è stato un matrimonio di vero amore. Eravamo appena sedicenni; Andrea giocava da poco nel Brescia ed entrambi non sapevamo che sarebbe diventato un campione.
Nati in un paesino della provincia bresciana, l’unica certezza che avevamo era di amarci da impazzire, con il desiderio incontenibile di un futuro e una famiglia per sempre insieme. La nostra era una vera storia d’amore, con fughe da casa per sottrarci di nascosto al controllo dei genitori e tante stelle guardate a lungo insieme, sognando ad occhi aperti, ciascuno negli occhi e nel cuore dell’altro. Ogni incontro era magico e fantastico. I nostri occhi brillavano alla vista dell’altro ed era come se un cuore solo battesse per due. Come accade soltanto in una vera storia d’amore.
Andrea, intanto, si affermava nel lavoro con crescenti risultati, sino al successo che tutti conosciamo. Io sempre al suo fianco ed entrambi con la purezza di sempre e con la semplicità che avevamo ereditato dal nostro paesino di gente vera. Non cambiava nulla dentro di noi. Umiltà e naturalezza, mai arroganza o superbia tra noi o verso gli altri.
Il nostro amore era vigoroso e si irrobustiva ogni giorno, ancora di più con l’arrivo dei figli.
Non è stato semplice rinunciare a me stessa. Il mio amore era allo stesso tempo abnegazione e rinuncia. Non era possibile immaginarlo diversamente con un uomo che diventava Campione, al quale era necessario donarsi per non impedirgli il futuro. Ho compreso il mio ruolo con spirito di partecipazione e di sacrificio, ed ho offerto a lui ogni attimo della mia esistenza incondizionatamente per la sua sicurezza, la sua serenità, la sua concentrazione.
Ero consapevole dell’importanza del mio compito al suo fianco. Man mano che Andrea confermava le sue qualità e raggiungeva i risultati che compivano il suo destino; man mano che egli vinceva e prendeva forma la sua storia di Campione, io avevo già compreso il mio ruolo, che si racchiudeva nella responsabilità di tutelare la sua persona e la sua professione; ma anche l’immagine di un simbolo e di un sogno collettivo, che riguardava ogni tifoso e anche ogni italiano, come in alcune notti infinitamente magiche che rimarranno nel cuore di tutti.
In quelle notti sono rimasta moglie e madre e vincevo anch’io per la gioia del nostro amore.
Non potrò mai dimenticare il lavoro silenzioso su me stessa e sulla mia vita per amore di lui che si apriva al destino di Campione e che anch’io ogni giorno ho aiutato a compiersi.
È difficile raccontare l’abnegazione, la rinuncia e l’annullamento di me stessa al fianco di un Campione. Un senso di responsabilità continuo, a volte anche ansioso e preoccupato vissuto dentro senza dirlo, che ha permeato l’intera mia esistenza al suo fianco soltanto per lui e per la sua storia che prendeva forma.
Nessuna interferenza, nessun condizionamento; approvazione e sostegno continui anche quando avrei voluto esplodere per affermare me stessa. Dominio e negazione della mia vita per il suo bene e per il suo sogno che doveva compiersi e che si è compiuto come entrambi desideravamo anche per merito mio.
Dirigenti, allenatori, giocatori e tifosi sanno tutti quanto sia decisivo il ruolo della moglie di un campione. Il suo destino si avvera attraverso regole sane e relazioni sane, tra cui quella decisiva con la moglie e la famiglia.
Umiltà, misura, responsabilità, amore devoto verso Andrea e i figli. Senso di servizio verso la famiglia, per il bene comune e per l’accrescimento di ogni potenzialità di Andrea mettendo a disposizione me stessa senza limiti e senza riserve.
Non ho mai pensato di sfruttare la situazione, di procurarmi vantaggi di alcun tipo per prevenire i rischi del futuro. Non ho mai pensato a me stessa ed ho donato la mia vita interamente senza alcuna polizza per me e nessuna previdenza per il mio futuro.
Questo mio dono, ne sono convinta, è stato uno dei cardini del suo successo. Ogni momento della sua vita e della sua professione si fondava sull’amore, sulla fiducia e sulla certezza della mia presenza premurosa.
L’autentico dono di sé non ha un prezzo e non deve esser dimenticato nell’oblio una volta realizzato il proprio progetto. Il dono di sé non deve essere rinnegato dall’altro e ogni suo frutto, quando finisce l’amore, non potrà essere trasferito ad altri.
Ecco perché la sentenza, a cui è stato riservato molto clamore, non può riguardare le donne che hanno sacrificato interamente la propria vita per il proprio uomo, rinunciando ai propri studi o al proprio lavoro e alla propria realizzazione personale.
Non sono condivisibili le pretese di chi, pur avendo realizzato se stessa nel corso del matrimonio, voglia anche parte di quanto realizzato dal marito. Questo anch’io non lo considero giusto. Tuttavia la sentenza della Corte di Cassazione deve far riflettere sulla situazione di mogli che hanno donato completamente la propria esistenza, per le quali un semplice assegno «assistenziale» sarebbe non solo ingiusto ma anche offensivo.
Non ho il compito e la competenza di leggere le norme; non mi sfugge tuttavia di comprendere che quando una donna ha contribuito alla ricchezza del marito perdendo le chances per la propria autorealizzazione, al momento della cessazione del matrimonio, a maggior ragione quando avviene per cause a lei non attribuibili (come nel mio caso), non sarà sufficiente un mero assegno «assistenziale» sarà necessario invece considerare anche il diritto ad un risarcimento per la propria vita donata per amore ed anche un compenso proporzionato al proprio contributo come avviene in una vera e propria impresa familiare.
Il dono della propria vita non sarà mai ripagato, ma almeno sarà impedito l’oblio a cui si vorrebbe destinare la vita altrui, spesa con amore e poi abbandonata”.