Sofia Goggia, infortunio alle spalle: “È come se non fosse successo nulla”

Sofia Goggia prepara il rientro

Sofia Goggia ha parlato alla stampa in collegamento da Denver, a pochi giorni dal ritorno in pista nel weekend a Beaver Creek. “Sicuramente per me è stata la trasferta americana più lunga di tutta la mia carriera – ha esordito -, ma ovviamente avendo rimosso i mezzi di sintesi il 7 di settembre ho dovuto aspettare 40-45 giorni per poter poi sciare in Europa. Ho fatto pochi giorni giusto per capire un po’ l’adattamento allo scarpone che fortunatamente non ha necessitato di alcuna modifica, quindi poi ho fatto tre giorni in Senales e tre giorni a Solden e poi abbiamo deciso di volare direttamente qui”.

“Tra l’altro questo programma è stato il medesimo della Nicol Delago – ha aggiunto la bergamasca – che anche lei, essendosi rotta la clavicola a Ushuaia, necessitava di sciare un po’ di più e penso che sia stata la scelta giusta. Perché il segreto secondo me è riuscire a fare un’ottima trasferta a Copper Mountain, cosa che l’anno scorso invece non avevamo fatto a causa delle gare che ci avevano messo a metà novembre a Cervinia”.

“Copper è un raduno fondamentale soprattutto per la velocità perché è l’unico allenamento dove riesci veramente a fare un minuto e trenta di discesa in tutto l’anno. Il lavoro che fai qui e anche proprio sul set-up è qualitativamente più alto. Io sinceramente sto bene, il piede è qualcosa a cui non penso, chiaramente sono arrivata un po’ arrugginita. I primi giorni sciavo solo nella parte alta, quindi facevamo anche 10 giri molto intensi perché c’è una parte di spinta veramente importante e la quota lo è altrettanto, allenandoci a 3500-3600 metri che però è un’altitudine diversa rispetto a quella dell’Europa perché vi sono ancora gli alberi, essendo il Colorado molto continentale”.

“Quando la pista da velocità era pronta, ho finamente iniziato a fare delle belle sessioni sia di SuperG che di discesa libera e diciamo che la confidenza con la velocità è rimasta. Magari io m’aspettavo di avere un po’ più remore, un pochino più di paura ad affrontare determinate curve ad alta velocità, magari anche al buio. E invece mi è venuto naturale affrontare gli allenamenti, come se ‘nulla fosse successo’, ma questo è dato anche dal fatto che il mio piede sta veramente bene e non mi ha dato problema alcuno”.


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