Premesso: sulle prime consideravo Stefano Sardara un “clone” di Minucci per il suo modello di basket, ma più lo seguo e più mi piace e lo rispetto.
Questo per la sua passione per il basket, l’aver fatto la gavetta gestendo una squadra di B, cosa non facile a Sassari, grande città ma dislocata dal continente. E ha saputo tener viva la passione quando certi scudetti sono un bagno di sangue. Mi sono letto attentamente tutte le sue iniziative e sociali sul territorio, tanto di cappello nel fare della Dinamo un polo sportivo di riferimento. Beninteso, Sassari era già un polo quando allenava Stefano Michelini e l’avvocato Milìa storica figura, si è affacciata al grande basket grazie a un presidente di stile e schivo come Mele che chiamò Andrea Luchi general manager per creare la piattaforma che il nipotino di Cossiga, come mi hanno detto di Sardara, ha trasformato in un format.
Talvolta non mi è piaciuto, come l’aver messo alla porta Sacchetti dopo 7 gare e in quel modo, o prima del Referendum quando ha consegnato in teatro una maglia firmata Renzimatteo. La ragione non è la sua scelta politica, è che l’ex premier invece di convincere i Della Valle a inglobare il basket nel calcio, coi suoi continui aiutini a società fiorentiniste senza una struttura e un management adeguato ha infilato il basket gigliato in una zona grigia pur avendo oltre un bel Palasport, una tradizione e una attività giovanile fiorente. A Sardara perdono che sieda accanto alla panchina come addetto al tavolo, credo per supportare il suo coach e non per cercare di prendersi un vantaggio. Non perdono però il regista Rai di avergli dedicato 11 primi piani domenica sera, molti di più del giocatore più bravo. Ma questa è una questione dell’organo di vigilanza Rai, lui fa bene il suo lavoro cercando il massimo profitto e meriterebbe – perché no? – il posto di presidente di Lega. Se lo incontro non lo evito…
A cura di Enrico Campana