Il processo di ‘Calciopoli’ si era concluso lo scorso 23 marzo con la prescrizione di gran parte di reati (tra cui associazione a delinquere) contestati a Luciano Moggi e ad altri imputati.
La terza sezione penale della Cassazione ha diramato mercoledì le motivazioni della sentenza, motivazioni nelle quali l’ex direttore generale bianconero viene definito come un “principe assoluto” che godeva “più che di potere, di uno strapotere esteso anche agli ambienti giornalistici ed ai media televisivi che lo osannavano come una vera e propria autorità assoluta”.
Moggi viene definito come “l’ideatore di un sistema illecito di condizionamento delle gare del campionato 2004-2005 (e non solo di esse)”. Un “sistema” che – scrivono gli ‘ermellini’ nella sentenza 36350, quasi 150 pagine depositate oggi – “prende il suo nome”. Per i supremi giudici, Moggi ha commesso sia il reato di associazione per delinquere, sia la frode sportiva “in favore della società di appartenenza (la Juventus)”, ed ha anche ottenuto “vantaggi personali in termini di accrescimento del potere (già di per sé davvero ragguardevole senza alcuna apparente giustificazione)”.
Secondo quanto rilevato dalla Cassazione nel suo verdetto, dai giudizi dell’ex dg bianconero in tv e sui media “potevano dipendere le sorti di questo o quel giocatore, di questo o quel direttore di gara con tutte le conseguenze che ne potevano derivare per le società calcistiche di volta in volta interessate”.
E ancora: l’associazione a delinquere “era ampiamente strutturata e capillarmente diffusa nel territorio con la piena consapevolezza per i singoli partecipi, anche in posizione di vertice (come Moggi, il Pairetto o il Mazzini), di agire in vista del condizionamento degli arbitri attraverso la formazione delle griglie considerate quale primo segmento di una condotta fraudolenta”.
La Suprema Corte dice che aveva una “poliedrica capacità di insinuarsi, ‘sine titulo’, nei gangli vitali dell’organizzazione calcistica ufficiale (Figc e organi in essa inseriti, quali l’Aia)”. Senza timore di cadere in “enfatizzazioni”, secondo la Cassazione, Moggi aveva una “incontroversa abilità di penetrazione e di condizionamento dei soggetti che si interfacciavano” con lui.
Infine c’è il capitolo spogliatoi. Luciano Moggi, con le sue “incursioni” negli spogliatoi degli arbitri, al termine delle partite, non solo “non lesinava giudizi aspramente negativi sull’operato dei direttori di gara”, ma esercitava un “potere di interlocuzione aggressiva e minacciosa, frutto soltanto di un esercizio smodato del potere”: “emblematici” gli episodi che riguardarono l’arbitro Paparesta e il guardalinee Farneti”. Lo sottolinea la Cassazione nel verdetto Calciopoli rilevando che la Lega consentiva solo visite di cortesia negli spogliatoi da parte dei dirigenti calcistici.