Federico Chiesa ha pensato di lasciare il calcio.
“Ho avuto una carriera un po’ in salita nelle giovanili. A 13 anni passai un brutto momento, perché vedevo i miei compagni di squadra crescere fisicamente e tecnicamente, migliorare e giocare ogni domenica, mentre io facevo fatica a tenere il ritmo e dovetti retrocedere di un anno per poter giocare qualche minuto. È stato così duro che ho pensato di smettere, ma, con un po’ di determinazione e l’aiuto dei miei genitori e di un mister che mi ha fatto crescere come persona, ho iniziato a considerare l’allenamento quotidiano come la mia partita, la mia sfida personale, e sono riuscito a superarlo”.
Lo ha detto il calciatore della Juventus Federico Chiesa, ospite del webinar “Allenare, Allenarsi, Guardare altrove”, organizzato da Randstad, primo operatore mondiale nei servizi per le risorse umane, Official Partner di Juventus, per riflettere sulle condizioni iniziali per lo sviluppo del talento, sulle componenti necessarie per raggiungere l’eccellenza e su come allenarle, nel mondo dello sport e in azienda. Il giocatore è stato intervistato da Mauro Berruto, ex allenatore nella nazionale italiana maschile di pallavolo, giornalista e storyteller, al quale ha raccontato la sua storia di giovane talento che vive e respira calcio da quando è nato.
Nella vita di Federico Chiesa il calcio non è l’unica grande passione. “Se non avessi fatto il calciatore, avrei fatto il fisico. L’universo è un pensiero fisso, fin da bambino ho sempre osservato le stelle e mi sono appassionato ai libri e ai documentari sull’origine dell’universo e sui buchi neri. Sarebbe stata dura fare il fisico, in realtà, perché a scuola ero un po’ pigro, mi piaceva di più il calcio. Ma è una passione che porto ancora avanti e un giorno spero di poter fare un viaggio nello spazio. Il fisico statunitense Brian Green è il personaggio non sportivo al quale mi ispiro di più. Lo ammiro per la sua capacità di rendere facili e comprensibili concetti molto complessi, utilizzando come esempi oggetti e situazioni della vita quotidiana. Nello sport questa capacità è ciò che distingue un campione dagli altri e porta anche una maggiore responsabilità di motivare e aiutare i compagni di squadra e lasciare qualcosa al prossimo”.