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Le parole di Materazzi
Marco Materazzi è statio protagonista di “Storie di Serie A” su Radio-TV Serie A con RDS: “L’Inter? Sicuramente non è stato amore a prima vista però quasi. Il primo anno che arrivai ci fu quasi una mezza rivoluzione perché arrivai a Milano dopo un derby perso 6-0, feci la visita medica proprio il giorno dopo, ma fui illuminato quando entrai al CONI per la visita di idoneità trovando Ronaldo. Era il mio idolo e lo ringraziai perché era uno dei motivi per cui firmai per l’Inter”.
“C’erano anche altre che erano interessate però in ottica futura volevo l’Inter che era la squadra che prima o poi sarebbe tornata a vincere. Da gennaio mi concentrai sul Perugia come ho sempre fatto però pensando anche all’Inter perché il mio obiettivo era cercare di vincere trofei. Cosa che non avvenne il primo anno per colpa nostra, perché l’ultima partita sbagliammo, però giocammo altre 37 partite dove io fui quasi sempre in campo. Non potevo e non potevamo chiaramente fare niente, ma poi alla luce di quello che si è verificato tutti sappiamo come sono andate le cose”.
“Quando mi dicono dello scudetto perso nel 2001 io rispondo che lo baratterei con altri due/tre che ho vinto perché sarebbe stato quello veramente del gruppo, non eravamo assolutamente più forti, era stata cambiata quasi tutta la rosa, arrivarono Conceicao, Toldo, io e tanta gente su cui nessuno avrebbe scommesso un centesimo. Alla fine dell’anno probabilmente avremmo meritato quello scudetto ma lo perdemmo in maniera assurda, però è il calcio e tutti noi non sapevamo se dopo quel 5 maggio avremmo mai avuto l’opportunità di poter vincere uno scudetto o alzare una Coppa”.
Chiosa sull’addio: “Io non ho salutato l’Inter nel 2010. Mi dissero che da parte mia c’era troppa aspirazione a giocare la domenica. Io mi sono chiarito con tutti, con Ausilio e Leonardo, ma all’epoca chiamai quest’ultimo e gli dissi: “Guarda se devo venire alla Pinetina senza l’aspirazione di poter giocare la domenica sto a casa con i miei figli perché non ha senso”. Probabilmente in quegli anni posso dire molto onestamente che mancò qualcosa e parlando con i miei compagni in allenamento non c’era più quella voglia di poter vincere anche la sola partitella, ma era un andare al campo, fare allenamento e poi tornare a casa. Per una squadra penso sia la cosa più deleteria che possa succedere”.