Pjanic: “Roma? Promesse non mantenute”

Trovata la posizione giusta, da interno destro o sinistro, Miralem Pjanic ha cominciato a prendere per mano la Juventus, con assist e pure qualche gol, tra Serie A e Champions.

Intervistato da “Repubblica”, il centrocampista bosniaco è tornato a parlare della clamorosa trattativa che lo ha portato dalla Roma ai bianconeri:

“Era arrivato il momento di lasciare Roma. Ho sempre creduto alle promesse del club, rinnovando il contratto, hanno continuato a ripetermi che avrebbero costruito una squadra da scudetto, ma purtroppo in cinque anni non abbiamo vinto niente. Io ne ho 26, la carriera non dura in eterno, non potevo più aspettare, ne ho parlato anche con Spalletti, con De Rossi e con Totti: Francesco mi ha detto che gli dispiaceva che andassi via, ma ha capito fosse giusto facessi la mia strada. Ma amerò sempre Roma e la Roma e oggi posso dire che solo una maglia non potrei mai mettere, quella della Lazio”

“A Roma – prosegue Pjanic – c’erano più tentazioni, ma conosco le dinamiche della città e non essendo né scemo né pazzo ho sempre anteposto il mio lavoro a tutto. Poi credo non ci sia niente di male a divertirsi una volta ogni tanto o a uscire a cena”.

Tanti elogi fin qui per il centrocampista bosniaco in carriera, ma zero titoli. La voglia di vincere è pari a quella del suo nuovo club: “Scegliere la Juve è stato facile, mi volevano da tempo e l’ho capito subito: successe la stessa cosa alla Roma quando Sabatini e Luis Enrique mi convinsero dimostrandomi quanto tenessero a me. La Juve da fuori mi era sempre sembrata tosta, quasi imbattibile, adesso ho capito perché: costi quel che costi, qui si vuole solo vincere. Dove possiamo arrivare? Siamo molto forti, al livello delle grandi d’Europa. Non ho ancora vinto nulla, se dopo Metz, Lione e Roma succedesse anche alla Juve mi direbbero che porto male…”

Pjanic parla infine della scelta di rappresentare la nazionale bosniaca, pur possedendo anche il passaporto francese e lussemburghese: “Papà, che militava nella serie B jugoslava, voleva portarci via dalla guerra e trovò un contatto con una squadra lussemburghese, ma la mia vera storia è cominciata a 13 anni con il Metz. Domenech venne a parlarmi, con i Bleus avrei avuto altre prospettive, ma nessun traguardo sarebbe stato all’altezza del mio sogno: fare felice il popolo bosniaco. Andai via di là a un anno, tornai che ne avevo sei, a guerra finita, per conoscere nonno e zio: ho ancora negli occhi i carri armati sulla strada di casa. Credo che la scelta della nazionale sia l’unica di cuore che si può fare in carriera”.
 

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