“Noi allenatori siamo ladri di idee”. Paulo Sousa si racconta così ad A Bola, a partire da una frase celebre di Don Fabio Capello. Non è nel suo stile avere dei riferimenti nel mestiere, ma è una filosofia comune, quella di rubare i segreti dei colleghi e farli propri.
Questo e tanto altro è Sousa, che nel prossimo week end affronterà la Juventus a Torino. Quando è arrivato a Firenze, proprio il suo passato bianconero gli è costato dure contestazioni: “E’ chiaro che i risultati aiutano – ha esordito il tecnico, che non è indifferente allo scontro che sarà con i suoi ex -. Non possiamo essere indifferenti rispetto ai momenti che abbiamo vissuto nella nostra vita. Ma è tutto sotto controllo”.
La Fiorentina, seconda in campionato, viene indicata come tra le maggiori sorprese. Solo un punto la divide dall’Inter capolista: “Abbiamo fatto un buon pre-campionato, ma non pensavo che potessimo essere competitivi per il primato, nonostante l’attitudine straordinaria dei miei giocatori. La mia prospettiva nella vita poi è sempre quella di pensare a come migliorare”.
A maggior ragione, lo scudetto è possibile: “Conta la nostra attitudine. Tanto più sarà da protagonisti, tanto più saremo vicini all’obiettivo”.
A proposito di ambizioni. Il portoghese si immagina già con una Champions League nel suo palmares entro cinque anni: “Spero di averla già conquistata! Lavoro affinché il mio percorso verso il successo sia il più breve possibile. La mia ambizione è quella di vincere come allenatore quello che ho vinto da giocatore, anche se la prospettiva di un allenatore è diversa da quella di un giocatore. Essere allenatori aiuta anche a crescere come persone”.
Firenze e la Fiorentina non sono un trampolino, ma già un punto d’arrivo: “La mia decisione di approdare alla Fiorentina è basata su una volontà di crescita personale, e non per dimostrare qualcosa ai top club. In Italia mi confronto con allenatori di grandi qualità tattica, cosa che mi permette di migliorare. E la stessa cosa per quanto riguarda la comunicazione”.
Sono due, i giocatori che meglio riassumono la sagacia di Sousa. Bernardeschi è il simbolo della duttilità: “Ha grandi capacità di apprendimento. In lui c’è un miglioramento continuo nell’interpretare il gioco, in posizioni diverse. E’ per questo che lui può arrivare al top”. Kalinic, invece, è l’intuizione di mercato: “Lo seguo da quando giocava al Blackburn, nel 2009. Quando sono arrivato a Firenze, ho proposto di acquistarlo”.
Il futuro, per quanto ignoto, ha i contorni del successo. C’è solo una certezza nel suo avvenire: “Ora posso dire che il mio futuro non sarà in una nazionale”.