Era il 25 aprile 2001 quando la Formula 1 e l’intero mondo dello sport dovettero fare i conti con un dolore improvviso, atroce e insopportabile: Michele Alboreto, uno dei campioni più amati di ogni tempo, era morto.
Fatale fu per lui uno schianto al volante di un prototipo Audi, durante un test al circuito del Lausitzring. Perché per Michele, che la Formula 1 l’aveva abbandonata a fine 1994, l’etichetta di “ex pilota” non era praticabile. Pilota ci era nato. E pilota, purtroppo, sarebbe rimasto fino al suo ultimo respiro terreno.
Milanese di nascita, il suo radar era sempre stato puntato sulla vicina Monza. E infatti proprio in Formula Monza corse le sue prime gare, appena ventenne, per la Scuderia Salvati. Da lì il salto alla Formula Italia, poi alla Formula 3, alla Formula 2, al Mondiale Prototipi.
Una determinazione implacabile, accompagnata però da modi garbati e da un sorriso costante, anche nei giorni più bui. Un signore, che finalmente trovò aperte le strade della Formula 1 nel 1981, al volante di quella Tyrrell ben lontana dai fasti di appena un decennio prima. Ma che con Alboreto al volante tornò alla vittoria. Già nel 1982, a Las Vegas. E poi anche l’anno dopo a Detroit, dimostrazione che quello del Caesar’s Palace non era stato un exploit estemporaneo.
Di quel milanese cresciuto professionalmente a Monza si innamorò il Drake, che ben presto volle vestirlo di rosso. Una rarità, per molti versi, dato che da anni un pilota italiano non saliva a bordo della Ferrari. Alboreto si sarebbe poi rivelato non solo l’ultimo italiano scelto personalmente da Enzo Ferrari, ma anche l’ultimo che (a tutt’oggi) abbia vinto un Gran Premio per il Cavallino.
La sua esperienza in rosso lasciò però più rimpianti che soddisfazioni. Il mondiale 1985 sognato e poi sfumato a causa di alcune famigerate turbine, le polemiche del 1986 su un passaggio poi sfumato alla Williams 1987 (che avrebbe dominato quel campionato), il dispiacere per essersi visto soppiantato da Berger nel ruolo di prima guida.
Amaro anche il ritorno in Tyrrell, nonostante uno straordinario terzo posto in Messico. Alboreto fu infatti appiedato dopo appena sei gare per un problema di sponsor e costretto a un finale di carriera al volante di piccoli team: Larrousse, Footwork, Scuderia Italia, Minardi. Con quest’ultima l’ultimo squillo: un sesto posto a Montecarlo. Ma anche l’incidente al box di Imola, ultimo atto del più tragico weekend del 1994.
Il tutto mantenendo sempre il suo sorriso, il suo charme, il suo aplomb da pilota di altri tempi. E una seconda carriera, con le ruote coperte e i colori dell’Audi. Colori che scomparvero di schianto vent’anni fa. “L’avevo sentito la mattina, diceva che sarebbe tornato prima per aiutarmi con le bambine. Michele era un padre stupendo”, ha raccontato al ‘Corriere della Sera’ la moglie Nadia. Che non ha mai smesso di amare Alboreto, come tutto il resto del Paese.