Paolo Simoncelli, parole toccanti.
Paolo Simoncelli, con Repubblica, ha parlato della tragica scomparsa di Jason Dupasquier. Impossibile quanto doloroso non tornare a quanto successo dieci anni fa con la morte di Marco, a Sepang.
“La notte tra sabato e domenica sono stato male – ha raccontato commosso -. Ci ho pensato fino all’alba. Avevo letto del trauma cerebrale di Jason, qualcuno sosteneva che, se fosse sopravvissuto, nella migliore delle ipotesi poteva restare attaccato a una macchina. Fino a ieri credevo di essere stato fortunato, perché il mio Marco era morto subito: cioè, non era rimasto disabile. Ma poi ho visto un caro amico accarezzare la testa al figlio costretto su una sedia a rotelle dopo un incidente di motocross: forse era meglio se anche Marco finiva così”.
“Il minuto di silenzio non mi è piaciuto – ha aggiunto Paolo -. Andava evitato. Qualcuno lo avrà considerato un omaggio, una maniera per esternare rispetto nei confronti di familiari e amici della vittima. Grazie, ma credetemi: i minuti di silenzio sono una cosa veramente angosciosa. Non si possono sopportare. Io li eliminerei. A maggior ragione, poco prima di accendere i motori”.
“Quando perdi un figlio in pista quei luoghi, dove magari hai trascorso tutta la tua vita, di colpo cessano di esistere. Ti trovi in un altro mondo. Non capisci nemmeno dove: però è lontano. Irraggiungibile per gli altri. E stai sicuro: non ti importa nulla, di tutto il resto” la conclusione di Simoncelli.