Un lungo racconto su se stesso, in cui non mancano i capitoli molto dolorosi.
Fabio Fognini si racconta a tutto tondo, e inquadra i dati più belli e quelli più difficili della sua carriera nel tennis. Tanto da augurarsi che il figlio non intraprenda la sua carriera, soprattutto nel momento in cui l’azzurro ricorda di un momento in cui il troppo stress gli aveva quasi fatto mancare il fiato.
“La nostra è una vita molto bella, ma ci sono mille difficoltà – ha spiegato Fognini nella sua lunga intervista a ‘L’Ultimo Uomo’ -. Stare da soli, lontano da casa e dagli amici, i viaggi, la stanchezza, il fuso orario: ci sono tantissimi momenti che gli appassionati non vedono. L’ho sempre detto, anche se può suonare male: spero che mio figlio non giochi a tennis. Perché so quello che ho fatto io, i sacrifici che ha fatto mio papà”.
Fognini ha quindi rievocato uno dei momenti più difficili della sua carriera e della sua vita: “Mi ricordo che un anno ero a Parigi, e una notte mi alzai quasi piangendo, vicino a Flavia. Pensavo di morire. Stavo sudando, tachicardia, il braccio sinistro non lo sentivo, ho pensato ‘aiuto, mi sta venendo un infarto’. E invece no, era un attacco di panico. Il giorno dopo sono entrato in campo e non sapevo che pesci prendere, non sapevo dove andare, non riuscivo a respirare bene”.
“All’inizio mi sono spaventato. Ma non come giocatore di tennis che a 35 o 38 anni appende la racchetta al chiodo, come persona. Ho pensato: io così non voglio stare. Perché non si tratta di soffrire in campo, lottare, dare il meglio di me stesso, correre, vincere le partite: quella è una sofferenza che sono disposto a provare. Ma fuori dal campo non voglio soffrire in questa maniera. Quindi sono andato a fondo, ho cercato una soluzione e l’ho trovata, però ho fatto molta fatica, è stata dura”, ha aggiunto Fognini.