Il piccolo Jannik Sinner
Andreas Schonegger, primo maestro di tennis di un certo Jannik Sinner, cha rilasciato un’intervista ai microfoni di Super Tennis: “È il numero uno del mondo perché per il momento sicuramente è il più forte di tutti nel circuito. Lui non sbaglia, ha la grinta, anche se sta male vince ugualmente e questo dà fiducia. Per il momento ci sono pochi che riescono a batterlo“.
“Suo papà è un bravo giocatore di tennis, forse è stata fortuna, perché probabilmente a casa ha trovato una racchetta e ha provato a tirare le palline. Sicuramente prima ha iniziato a sciare, poi a quattro anni sua mamma mi ha chiesto di inserirlo in un corso, per capire se riuscisse a fare qualcosa. Quando è venuto non c’era dubbio che ce l’avrebbe fatta. Sicuramente aveva quel pizzico in più rispetto agli altri. Già a quattro anni non voleva fermarsi ed andare avanti e finita l’ora chiedeva, a differenza di tanti altri, di continuare. Quando io gli chiedevo se non volesse tornare a casa lui mi rispondeva che avrebbe aspettato suo papà tornare da lavoro e poi avrebbe giocato ancora un’oretta con lui. A quell’età per me era fantastico, si vedeva che aveva qualcosa in più a livello di testa”.
“Ogni giorno con lui era un divertimento, perché stava spesso a rete e quando mi colpiva saltava in aria e rideva. Poi ha cominciato a giocare i piccoli tornei con il suo berrettino e i suoi capelli. Non è che facesse ridere, ma era un personaggio già lì molto interessante. Già a quell’età riusciva a fare risultati. Non sapeva nemmeno contare i punti e aveva vinto, io gli dissi di stringere la mano al suo avversario e lui mi chiese perché. Quando gli spiegai che aveva vinto era contentissimo”.
“Il nostro rapporto è proprio familiare perché conosco i genitori che hanno lavorato per tanti anni con me. Abbiamo fatto anche qualche partita di golf assieme, ogni tanto andiamo a mangiarci una pizza. Lui comunque si dedica ai suoi amici, è rimasto com’era quando è partito a 14 anni. Un personaggio fenomenale. Non mi ricordo quando se ne andò. Il papà era tranquillo, per la mamma è stato più difficile, ma io in quel caso con lui non ho parlato, era una decisione sua. Per noi è un problema quando non gioca, è una cosa bellissima seguirlo tutto l’anno. L’anno scorso a San Candido abbiamo fatto un corso con 130 bambini e ho dovuto chiudere perché non c’era più spazio. Più che i bambini erano i genitori a spingere”.