Le parole di Gianluca Petrachi
L’ex direttore sportivo di Roma e Torino, Gianluca Petrachi ha rilasciato una lunga intervista a Radio Serie A con RDS in cui ha anche svelato un retroscena di mercato su Gleison Bremer: “Io al Torino ho preso Bremer a cui nessuno credeva. In Brasile non giocava sempre, era ancora ragazzo e non aveva titolarità importante. Lì ti basi sull’intuito: era veloce, umile, con la testa, un fisico di rilievo e tanta personalità. Mi ero detto: deve lavorare un po’ sulla tecnica ma in Italia, con gli allenatori che abbiamo, diventerà un grande calciatore. Un ragazzo straordinario che può ancora migliorare tanto”.
Sul ruolo del ds ha detto: “Nel tempo questa figura è cambiata. Il DS deve avere il controllo sull’area tecnica, gestire le persone e le risorse che ne fanno parte, fare da collante tra il Presidente o l’AD, e la squadra e l’allenatore. La realtà è che oggi di direttori sportivi che si assumono questo tipo di responsabilità ce ne sono pochi. Non voglio assolutamente abbattere la mia categoria, ma a volte ti trovi davanti a delle società, a dei presidenti che amano occuparsi anche del calciomercato, quindi di calciatori, allenatori e in generale dell’ambiente tecnico, ahimè, senza alcun tipo di esperienza e competenza. A mio avviso, stiamo pagando anche questo nella nostra Serie A”.
“Il club deve avere il coraggio di imporre una linea guida – ha aggiunto -. Se io vado al Toro e il presidente Cairo fa dei nomi, devo essere in grado di poter essere aziendalista, ed essere più vicino a quelle che sono le esigenze del club. Se questo fattura 80 milioni, chiaro che non posso spenderne 150. Evidentemente non avrò fatto bene il mio lavoro. È qui che la figura del DS diventa importante: il Frosinone ha Angelozzi che è una figura storica del nostro panorama calcistico dei direttori sportivi, il Lecce Pantaleo Corvino che storicamente rappresenta quel tipo di ruolo. Sono club che si affidano a queste figure che cercano di portare avanti azioni virtuose. Il Lecce per esempio ha un monte ingaggi tra i più bassi del campionato. Le società devono essere consapevoli, perché se poi ti ritrovi a lottare per la salvezza, e può anche scapparti il piede, se alla fine dovessi retrocedere non ti ritroverai con un monte ingaggi spaventoso. Bisogna saper trovare l’equilibrio tra il fatturato e la spesa e, con umiltà mi permetto di dire, la nostra è una Serie A malata. A parte 5-6 club virtuosi, metto ovviamente dentro anche l’Empoli e l’Atalanta, gli altri hanno vagonate di debiti. E un calcio così è tanto difficile da sostenere”.
“Noi italiani riusciamo sempre a mettere una toppa, abbiamo delle qualità che da sempre ci vengono riconosciute. Abbiamo allenatori molto preparati, una cultura tecnico-tattica da sempre superiore alla media e, per questo, cerchiamo sempre di arrivare al top grazie a dei giocatori di livello. Io a Roma ho preso Smalling e Mkhitaryan che non stavano giocando, ma in Italia son diventati degli assoluti protagonisti. Questo ti fa vedere che, esempio, la Premier League è superiore per aggressività e intensità. In Serie A siamo bravi a sopperire a queste lacune con la capacità tattica di incartare gli avversari, metterci con la difesa a cinque per non farci soffocare, allenare cultura del lavoro e professionalità. Però è chiaro che tecnicamente qualche mancanza rispetto ad altri tornei ce l’abbiamo” ha chiosato Petrachi sulle differenze tra il campionato italiano e quelli esteri.